Management Consulting in Italia: numeri, costi e tendenze del 2019 secondo Assoconsult

Confermate per il 2019 le previsioni di crescita di un settore che da cinque anni risulta uno dei più dinamici (il 2018 ha segnato un +8,6% sul 2017). L’internazionalizzazione, ossia la ricerca di partnership e sbocchi commerciali all’estero, è il servizio più richiesto dalle piccole e medie aziende italiane per far fronte alla crisi del mercato interno.

Nel 2018, il settore del management consulting in Italia ha registrato una crescita dell’8,6% sul 2017, si è avvalso di 23.000 società di consulenza, ha impiegato circa 45.000 addetti (l’87% dei quali sono professionisti che hanno studiato nelle migliori università italiane o in business school internazionali) e ha prodotto un fatturato di 4,5 miliardi di euro. Le previsioni degli operatori per il 2019 confermano questo trend positivo.
Se prima era un lusso, il management consulting è oggi per le Pmi una necessità, l’unico modo per essere competitivi e non soccombere a un mercato in continua evoluzione. Le aziende italiane hanno scoperto che per innovare processi e prodotti e partecipare alla Digital Transformation – lo standard di comunicazione mobile 5G tende ad accelerarne lo svolgimento – si possono cercare fuori le competenze che mancano dentro. Da qui l’incremento quasi a doppia cifra e la richiesta di personale altamente qualificato: nel 2018 sono stati assunti 3.300 neolaureati, con la prospettiva di superare le 4.000 assunzioni nel 2020.

Il mercato delle società di consulenza in Italia

Malgrado il trend positivo, l’Italia resta indietro rispetto agli altri paesi europei. L’incidenza del mercato delle società di consulenza direzionale sul Pil è stato pari, nel 2018, allo 0,26%. In Gran Bretagna è stato dello 0,42%, mentre la media europea si è attestata sullo 0,56%. In testa (e con un buon distacco) la Germania con l’1,09%. La Spagna ha fatto peggio, con un peso sul Pil dello 0,20%.
L’incremento registrato negli ultimi cinque anni – straordinario se considerato nel suo valore assoluto – serve quindi solo in parte a colmare le differenze fra l’Italia e gli altri paesi europei. La convinzione, nelle aziende italiane, specie se di piccole dimensione, che la voce a bilancio relativa alla consulenza esterna sia facilmente sacrificabile è ancora difficile da sradicare.
Il 54,7% del fatturato del 2018 è stato infatti generato dalle grandi imprese, il 12,4% dalle medie, il 13,7% dalle piccole e il 19,2% dalle micro realtà. Quasi un paradosso, visto che ad aver bisogno del supporto necessario a stare al passo con i tempi o a internazionalizzare i propri asset sono soprattutto le micro, piccole e medie imprese. Le dimensioni ridotte del personale, che quasi sempre caratterizza queste realtà, non consente infatti di far fronte alle nuove sfide del mercato globalizzato e digitale.
Il forte impulso registrato negli ultimi anni dal management consulting trova riscontro nelle parole di Marco Valerio Morelli, Presidente di Assoconsult, l’Associazione di Confindustria che rappresenta le Società di Consulenza manageriale: «Nessun altro settore è stato in grado di crescere così tanto nell’ultimo periodo, ma il distacco delle grandi aziende sulle piccole resta un gap da colmare». Quale approccio deve allora adottare una piccola realtà per uscire dall’impasse? «Sapere di non sapere è la chiave per uscirne – continua Morelli. L’ignoranza e la scarsa disponibilità al cambiamento rappresentano tuttora le insidie più grandi ed è proprio lì che noi dobbiamo intervenire per far sì che anche le piccole imprese si sentano cautelate e al sicuro».

Per le piccole imprese, il percorso da intraprendere è quello della internazionalizzazione

Se le aziende di medie dimensioni puntano alla digitalizzazione, affidando il processo a consulenze esterne, la gran parte del business che ruota intorno alle piccole e micro imprese riguarda invece l’internazionalizzazione, ossia la ricerca di sbocchi commerciali, opportunità e partnership all’estero. Un percorso che il più delle volte risulta funzionale alla sopravvivenza dell’azienda stessa. Se prima delle crisi, il processo di internazionalizzazione era infatti strategico, ora deve considerarsi un percorso obbligato. Lo conferma Peppino Marchese, coordinatore del settore Pmi per Assoconsult nonché titolare di IANG – International Advising National Group, società di consulenza con base a Milano che da oltre vent’anni supporta le piccole e medie imprese italiane (ed estere) nel loro percorso di internazionalizzazione. L’iter, se intrapreso con il giusto approccio mentale, può condurre a risultati e fatturati impensabili se ci si ostina a mantenere imbrigliato il proprio mercato fra i confini nazionali. «La difficoltà maggiore – spiega Marchese di Assoconsult – è far capire agli imprenditori che per vedere i primi risultati in termini di vendite all’estero serve all’incirca un anno. Un processo di internazionalizzazione serio prevede infatti che la rete di rapporti vada preparata e il prodotto da vendere innovato. Molte aziende che ricorrono al nostro aiuto vendono già all’estero ma non lo sanno, fungendo da sub-fornitori di gruppi di dimensioni più grandi. Il nostro compito è quello di renderle consapevoli dei propri mezzi, del ruolo che occupano nel loro mercato di competenza e di convincerle a diversificare la clientela, quindi di puntare sulla qualità».

Costi del management consulting

Uno degli ostacoli che le piccole e medie imprese italiane incontrano nel processo decisionale che le conduce ad affidarsi al management consulting è il costo del servizio. Mediamente, il prezzo da pagare per un anno di consulenza è di 30-40mila euro, cifra sì importante ma inferiore a quella richiesta per creare internamente all’azienda le competenze necessarie ad avviare autonomamente un processo di digitalizzazione o internazionalizzazione. Se il prezzo medio di una giornata di consulenza è di 905 € (anno 2018) per una grande società di consulting, si riduce – secondo l’ultimo rapporto firmato Assoconsult – a poco più di 530 € per una micro società. Se le prime in Italia sono circa 35 (per grande si intendente una società con oltre 50 dipendenti), di piccole (con non più di tre professionisti) ce ne sono circa 20 mila.